giovedì 2 settembre 2010

Craniscev




Il mio istitutore, Craniscev, mi puniva duramente tutte le mattine. Appena entrava nello studio schioccava le dita e io, sull’attenti, iniziavo a recitare a memoria brani di quei quattro o cinque poetucoli belgi che mi faceva studiare. Poi, ma solo se la pronuncia fiamminga era stata soddisfacente, iniziava la vera lezione. Avevo nove anni e quel pazzo erudito del poeta Kreskij la faceva da padrone: le sue lunghe cavalcate per la pianura valacca erano parafrasate all’infinito. Non nego che dal mio attuale punto di osservazione lo sforzo di allora mi appare comunque positivo, vista la mia acquisita capacità di distinguere una normale cavalcata da una cavalcata “alla Kreskij”, in cui ogni discesa spericolata alla ricerca di donne da violentare si trasformava, e ancora oggi rabbrividisco, in una elaborata metafora del paradiso terrestre. Come? Semplice: uso di droghe. Ripeto spesso nelle mie classi italiane il rituale della recita mattutina e della citazione a oltranza e ottengo buoni risultati, anche se a tutto oggi i ritiri sono al 25% e il digerente mi incalza. Posso vantare miglioramenti soprattutto fisici in almeno il 13% della classe I media, percentuale che si impenna al 17% se si considerano solo le femmine, che godono come giumente (lo so, hanno 11 anni, ma in fondo non esiste un’espressione più appropriata di questa) a citarmi, gridando, versi di Montale, Cavalcanti e di Giuseppone il bidello. La mia esperienza pluriennale nelle carceri, e dalla parte dei colpevoli, non dei secondini, mi suggerisce che questa è l’unica strada per deviare il naturale corso degli eventi sociali italiani, che porterà i miei alunni a diventare seconde linee, inutili e aneddotiche, entro il 12° anno di vita. Perciò insisto con la tettonica a placche e lo sterminio degli indiani, li esalto con la storia della Polacchia e azzardo qualche paragone tra Dio e me. Ieri un mio adepto di I A si è avvicinato a me e gridando (non so perché tutti i miei alunni gridino, ma mi piace che dai corridoi si senta tutto e quindi non li punisco) ha voluto il permesso di cantare una ode scritta da lui in mio onore, per il giorno in cui passerò a occupare un altro corpo, terminando la prima parte della mia esistenza. La recita si è protratta per quattro ore, fino all’arrivo delle forze speciali. Appena fatta irruzione, però, non se la sono sentita di procedere e si sono seduti in un angolo ad ascoltare. Con le lacrime agli occhi si sono offerti di portarmi in tripudio per i corridoi, mentre l’intera classe, in un assordante rituale proto cristiano, recitava nenie antiche quanto l’uomo. Craniscev sarebbe orgoglioso di me.

mercoledì 3 febbraio 2010

Prima Linea




Si incontrano spesso le seconde linee della vita, quelli che sembravano fighi quando non eravamo fighi noi. Oggi li riscopriamo docili come agnellini, pieni di buona volontà, onesti e gentili ma dimentichi della loro disonestà e supponenza di un tempo. Servono birre al pub e da bravi ne decantano le doti, perché è ciò che hanno imparato in tutto questo tempo: “Questa è una doppio malto belga, è d’abbazia” ci dicono col sopracciglio alzato. “Bravo! Davvero davvero, bravo!” gli direi, se non fosse che una specie di repulsione rende me supponente. Io sono un genio, questo è pur vero, ma loro non hanno fatto i passi avanti minimi del criceto nella ruota e si reincarneranno in un fossile di birra belga. Sono gli stessi che oggi ci cercano per legittimare il loro presente in cui rivangano le inutili esperienze passate, ci salutano appena possono, credendo che il tempo in cui non ci siamo reciprocamente cagati, possa di colpo annullarsi. In fondo siamo arrivati tutti e due allo stesso punto, pensano. E invece no, carini. Il problema è che nel frattempo noi siamo diventati i pescivendoli dell’antica commedia greca e dal basso della nostra consapevolezza, affogati nel lerciume del nostro lavoro, deridiamo nell’immediato il sacro orgoglio con cui esibiscono una conoscenza sterile e ne facciamo legge universale. Così nella scuola ci sono le seconde linee che avanzano per anzianità e ne fanno un merito dispotico; proprio loro che non hanno mai capito nulla di nulla ci insegneranno tutto di tutto, finalmente-in-prima-linea-ora-tocca-a-me. Così abbiamo il più figo e firmato, quello che ha fatto esperienze, che ha sbavato per una recensione, quello che ignorava ciò che si doveva ignorare e si interessava a ciò di cui bisognava interessarsi,quello che a venti anni era irraggiungibile, al nostro tavolo con un bel grembiulino e tutta la sua saggezza, ridotta ad un sapere volgare, comune, diffuso come il non-ci-sono-più-le-mezze-stagioni-non-si-sa-più-cosa-mettere-esci-con-l'ombrello-c'è-il-sole. Di colpo dov'è quel fluttuare sopra tutto e tutti, la tua caratteristica di giovane senza pietà, tutto qui il tuo transito terreno? Abbiamo la vice preside che non è altro che una semi insegnante, una che ha “quasi” capito com’è che si fa. Io adoro e odio le seconde linee della mia vita, specie se le vedo arrancare con la faccia di chi-la-sa-ancora-lunga, mi ricordano cosa ho inseguito per tanto tempo e cosa ho fatto per raggiungerlo. Non confortano il mio futuro nebuloso ed evanescente ma mi danno sicurezza. A parità di situazione io sarò sempre in vantaggio. “Amo il rosso convinto, con il suo retrogusto fruttato”, “quella volta che abbiamo suonato e sono arrivati i carabinieri”, nobili esperienze, se tu fossi anche qualcos’altro, uno stronzo, per esempio, sarebbe sufficiente. “Le ore di sostituzione vanno firmate, se no la segreteria non le paga”, ottima osservazione se non dovessi presentare un buco di culo ad ogni pene che mi si para innanzi.

domenica 24 gennaio 2010

MANUALE DEL GUERRIERO DI POLACCHIA.



Noi non saremo i soliti contingentati senza dio dell’era moderna, né una serie di inetti da Novecento spinto. È pur vero che l’uomo difficilmente riesce a sopravvivere senza abbassare il capo, specie se la guida in questione è il solito fattorino consegna-verità. Il vero guerriero di Polacchia è l’arcinoto inadatto per eccellenza: se è indispensabile assecondare la volontà di chicchessia, dia il guerriero almeno dimostrazione di un certo stile.
- La prossima volta che presenzieremo ad un matrimonio (o a un funerale, o a quattro funerali) lo faremo con un cedro in mano.

- Ci presenteremo al bar citando Leopardi (il buon giacomino dal pessimismo involuto)

“Questo è quel mondo? questi
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
onde cotanto ragionammo insieme?"

e ci inseriremo all’improvviso e con la massima competenza in una disquisita e anedottica serie di riflessioni sul calcio, esattamente mentre gli altri ciarlano di politica. Ovviamente ciarleremo di politica con la massima competenza e lucidità mentre altri discutono di convocazioni o medaglie d’oro.

Inadatti. Questo è quanto. Semplice, futurista, efficace.

- Alla castagnata arriveremo con una bottiglia di Franciacorta millesimato ed esigeremo una fiorentina ben cotta.

Senza gaffes, convinti, spiazzati e spiazzanti.

- Noi saremo quel chianti da 25 euro alla cena di pesce e dimostreremo la verità: che il vino bianco è arbitrario e subisce un razzismo circospetto, quindi noi saremo circospetti e arbitrariamente escluderemo il bianco arrivando alla verità.

Noi siamo i figli di Polacchia e la nostra patria è una ciste nervosa. Odiamo i dandy perché il nostro fine ultimo è essere gli schiavi più colti del faraone, non i più elegantemente sfrontati. Abbasseremo anche noi la testa di fronte al dio-sole, proprio perché noi potremmo oscurarlo. Diogene lo disse ad Alessandro Magno. Galileo lo dimostrò al Papa. Noi lo raglieremo agli asini. (Ero un cavallo dalla mente acuta prima che ogni Cecoslovacchia di questo pianeta si separasse pacificamente. Cosa pensano di noi cechi e slovacchi? Nemmeno una guerra: un referendum e puff, senza versare sangue, ecco due patrie. Per noi, nessuna).
Noi ovviamente non avremo mai un manifesto tipo questo, affermeremo di averlo scritto ma ne dimostreremo la non esistenza. Ci dimostreremo sempre inadatti. Fastidiosi. Loquaci. Ma saggi al di là del limite.

L’ultima fase leopardiana, quella del “pessimismo comico”, sembra richiudersi su se stessa, tramutandosi in un pessimismo così vero da non essere realmente tangibile. Leopardi ha compiuto tutto il giro ed è tornato al punto di partenza? Tocca a noi dimostrare che il viaggio gli è piaciuto.

venerdì 15 gennaio 2010

Movimento per la liberazione di Polacchia.



Mi trascinai a stento fuori dalle spelonche lussuriose del carcere duro. Ero ingrassato più di cinquanta chili. L’esperienza mi aveva segnato duramente nel fisico e ancor più debilitata era la mia mente. Noto solo ora una singolare coincidenza tra il mio tentativo di allora di far comprendere le regole basilare della buona poesia, della vera poesia, e quell’anelito alla conoscenza che oggi mi porta nelle classi italiane, sprecando tempo con scimmie spaziali. Meglio gli assassini, per loro una promessa è una promessa e non ci si sottrae all’onore né il disonore passa sotto silenzio. A 52 anni la mia infanzia era dunque improvvisamente finita, lontana, come la Polacchia irraggiungibile, cancellata dai trattati internazionali, derisa e vilipesa.
Il 16 brumaio il cancello del carcere si chiuse alle mie spalle. Mentre mi allontanavo, con tutti i miei buchetti inviolati e frementi, mi accorsi del saluto tributatomi da prigionieri e secondini: dalle finestre volavano palle roventi di polenta e mi rividi bambino, quando per gioco scippavamo le vecchie nelle giornate di neve e per deriderle riempivamo loro il collo delle pellicce con ghiaccio di urina. Ero solo, spaventosamente dotato di vivida intelligenza e solida cultura umanistica, una miscela perfetta per diventare qualcuno, magari un pappone, uno spacciatore o, perché no, un affermato regista di pornografia per le classi colte.
Ero solo e mi incamminavo sussurrando tra me e me brani della Gerusalemme Liberata, scoprendo proprio allora la sua struttura chiastica, intuizione poi scippatami da un noto studioso italiano. Che fare del mio calzino portafortuna, ormai non contava essere superdotato, che farmene delle mie competenze, delle mille e più ricette a base di rognoni e pellame che sapevo cucinare? Dovevo concentrare tutte le mie forze nell’unica garanzia di sopravvivenza possibile: nascondermi, mimetizzarmi e organizzare un movimento culturale allo scopo di disgregare le certezze europee in tema di Polacchia. Arrivato in città ed entrato in un bar ebbi un’intuizione, un’illuminazione vera e propria: il movimento si sarebbe chiamato “movimento clandestino per la liberazione di Polacchia, ad adesione obbligatoriamente libera, basato sugli scritti apocrifi di Giuda, Giuseppe Gioacchino Belli e Cavour”, nome facile da ricordare e dai sicuri riferimenti culturali. Sarebbe stato un gruppo militante di ozio e virtù, dotato di regole proprie che avrei blindato col “patto polenta”, un vero e proprio patto di sangue in cui, inutile dirlo, il sangue si sarebbe mischiato alla polenta, a suggello di un legame eterno tra gli aderenti e la Polacchia. Al ventitreesimo grog inventai anche un alfabeto segreto che ora non ricordo più, ed elaborai una variante del “patto polenta” in cui si faceva un uso improprio delle anguille, che qui è vietato esporre per le rigide norme a salvaguardia dei gatti e degli uccelli.

mercoledì 6 gennaio 2010

Frammento della fuoriscita da Polacchia



Quando arrivai alla prigione di stato avevo con me solo un po' di polenta, nascosta nell'unico calzino che indossavo. No, non lo indossavo ad un piede, come sarebbe logico e giusto.Lo usavo piuttosto come sospensorio, indispensabile per chi è riuscito a scappare in quel periodo dalla Polacchia spacciandosi per attore di porno colti e di un certo livello. Alla prigione di stato fui accolto come una celebrità, visto che avevo sparso la voce di aver partecipato a "Le collegiali dal Preside" e "Sodoma in bidelleria". In realtà quei porno li avevo solo visti ad una proiezione organizzata in Polacchia, ma la mia somiglianza con il protagonista, tal "Futek", un bielorusso dalle doti inaspettate e il viso d'angelo, giocò a mio favore. Cominciarono ad arrivarmi pacchi di polenta e cicche al limone in quantità industriale, la mia cella era stracolma di leccornie di ogni tipo, compresi i tanto celebrati cazzi alla Voronoff. L'unico prezzo da pagare era rispondere a ogni tipo di domanda su qui film. Il porno colto e di un certo livello era all'avanguardia nella Polacchia di quegli anni: consisteva in un misto di soft e hard core inframmezzati da declamazioni di poeti turchi, Ugo Foscolo, possibilmente quello de "I sepolcri" e vere e proprie lezioni di filologia romanza, in cui si cercava, nella maggioranza dei casi, di dimostrare l'inestistenza di qualcuno o l'esistenza fisica di entità astratte. Il porno era buono, soliti giochi di sguardi, qualche compromesso sull'anal; le lezioni invece erano mediocri, cosa che i miei compagni di prigionia capirono subito, non appena cominciai a tenere io lezioni correttive ai peggio assassini di Polacchia, scappati come me da un paese allo sfacelo.

mercoledì 23 dicembre 2009

Il soldato apostolico



Non rifuggo dalla massa. Mi piace mescolarmi ad essa, per distinguermi con più facilità. A questo mi serve il titolo di “professore”. Più sono “professore” e meno lo sono. Recentemente mi è capitato di dare un passaggio a una collega, quaranta km illuminanti, in cui la tal “professoressa” si è impegnata a fondo nel mostrarmi tutti i trucchi di cui è a conoscenza per lavorare meno, per stralciare qualche giorno dalla conta abitudinaria di noi martiri del lavoro. E via a contare le ore di diritto allo studio, le eventuali malattie, ipotesi, calcoli, cumuli di diritti sacrosanti trasformati nella vasca in cui i maiali prendono il pappone: “quella stronza che fa l’orario mi ha dato il martedì libero, però ho calcolato che è meglio del sabato, perché quest’anno le festività cadono di sabato, secondo te posso prenotare una visita specialistica al mio paese (che si trova a non meno di un’ora di volo da Castel Garzone) al lunedì così parto sabato e ritorno mercoledì? Uno può fissarle dove vuole e quando vuole le visite specialistiche, no? Tu che dici? Poi magari a gennaio chiedo il trasferimento”... Quaranta km in cui lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori è stato alla mercé di una razza di lavoratori sui quali è ora di riflettere seriamente. Io non scappo dal mio lavoro, perché mi piace. Non sono il Santo Lavoratore spia e soldato, perché le mie aspirazioni clownesche e la mia personalità sono oltre qualsiasi programma ministeriale, perché cerco di essere competente e non un burocrate assassino, un distributore automatico o un museo delle cere. Mi piace il mio meccanico, quando è onesto e fa bene il suo lavoro, amo il postino e adoro il fornaio, apprezzo chi non ha voglia di lavorare, perché i titoli servono per essere smentiti, la personalità per affermarsi. A volte ci impiego qualche giorno più del dovuto a correggere le verifiche o a compilare i verbali, ma voglio insegnare, oltre i colleghi che non valgono nulla, insieme a coloro che pensano che tutto è lecito, se l’obiettivo è la crescita, lo sviluppo di una consapevolezza, di una personalità indipendente, la stessa che mi permette di essere cazzone e ubriacarmi e di lavorare con metodo e spirito di sacrificio, la stessa del mio dentista e del mio fabbro, quella che mi ha fatto resistere, muto, per quaranta kilometri, a milioni di anni luce da chi mi stava a fianco.

domenica 20 dicembre 2009

Sono nato in Polacchia...



Sono nato in Polonia, quando ancora si chiamava Polacchia. Sono cresciuto in un ricco paese, culturalmente emancipato, scientificamente all'avanguardia, economicamente pari alle maggiori potenze europee. Sono nato in Polacchia e me ne sono andato dalla Polonia. Ho vissuto felice in Polacchia e quando sono scappato ero la persona più triste di Polonia. Sono stato educato in una delle più influenti famiglie del mio paese, non mi è mai mancato nulla, la mia formazione culturale è passata attraverso le migliori personalità di questo grande paese che fu, distrutto da un regime che ha sostituito il nostro caviale con pesce baltico e alcolici di bassa lega. Scrivo queste righe perchè ho ricevuto migliaia di e-mail che mi chiedono di fare luce sul mio passato. Così mi ritrovo improvvisamente bambino nella mia Polacchia, con i miei stivaletti di pelle, mi rivedo correre sul ghiaccio, felice di accettare il rischio di cadere. Davanti agli occhi ecco la mia tata e il cavallo a dondolo...oh Polacchia, quanto del tuo dolore è chiuso in me! Come Zeno, come Barney Panofsky, scrivo per vendetta e per difesa, perchè ho a che fare con falsi esperti e persone da poco. Ogni santo giorno dimostro a me stesso di essere vivo, di credere ancora che un giorno il mio paese si rialzerà e mi ripeto che non posso aver paura, io, che ho visto in fiamme l'ospizio di Katyiuna, che ho visto morire i miei cani Tabukina e Breda, vittime del sordido gioco di un occupante annoiato. Eppure scrivo anche per paura. "L'orrore!L'orrore!" grida Kurtz in "Cuore di tenebra", "L'orrore! L'orrore!" sussurra Marlon Brando-Kurtz in "Apocalypse Now", con il ghigno e la rassegnazione, con lo spavento e il vuoto che è anche in me, giovane vecchio di Polacchia.