venerdì 15 gennaio 2010

Movimento per la liberazione di Polacchia.



Mi trascinai a stento fuori dalle spelonche lussuriose del carcere duro. Ero ingrassato più di cinquanta chili. L’esperienza mi aveva segnato duramente nel fisico e ancor più debilitata era la mia mente. Noto solo ora una singolare coincidenza tra il mio tentativo di allora di far comprendere le regole basilare della buona poesia, della vera poesia, e quell’anelito alla conoscenza che oggi mi porta nelle classi italiane, sprecando tempo con scimmie spaziali. Meglio gli assassini, per loro una promessa è una promessa e non ci si sottrae all’onore né il disonore passa sotto silenzio. A 52 anni la mia infanzia era dunque improvvisamente finita, lontana, come la Polacchia irraggiungibile, cancellata dai trattati internazionali, derisa e vilipesa.
Il 16 brumaio il cancello del carcere si chiuse alle mie spalle. Mentre mi allontanavo, con tutti i miei buchetti inviolati e frementi, mi accorsi del saluto tributatomi da prigionieri e secondini: dalle finestre volavano palle roventi di polenta e mi rividi bambino, quando per gioco scippavamo le vecchie nelle giornate di neve e per deriderle riempivamo loro il collo delle pellicce con ghiaccio di urina. Ero solo, spaventosamente dotato di vivida intelligenza e solida cultura umanistica, una miscela perfetta per diventare qualcuno, magari un pappone, uno spacciatore o, perché no, un affermato regista di pornografia per le classi colte.
Ero solo e mi incamminavo sussurrando tra me e me brani della Gerusalemme Liberata, scoprendo proprio allora la sua struttura chiastica, intuizione poi scippatami da un noto studioso italiano. Che fare del mio calzino portafortuna, ormai non contava essere superdotato, che farmene delle mie competenze, delle mille e più ricette a base di rognoni e pellame che sapevo cucinare? Dovevo concentrare tutte le mie forze nell’unica garanzia di sopravvivenza possibile: nascondermi, mimetizzarmi e organizzare un movimento culturale allo scopo di disgregare le certezze europee in tema di Polacchia. Arrivato in città ed entrato in un bar ebbi un’intuizione, un’illuminazione vera e propria: il movimento si sarebbe chiamato “movimento clandestino per la liberazione di Polacchia, ad adesione obbligatoriamente libera, basato sugli scritti apocrifi di Giuda, Giuseppe Gioacchino Belli e Cavour”, nome facile da ricordare e dai sicuri riferimenti culturali. Sarebbe stato un gruppo militante di ozio e virtù, dotato di regole proprie che avrei blindato col “patto polenta”, un vero e proprio patto di sangue in cui, inutile dirlo, il sangue si sarebbe mischiato alla polenta, a suggello di un legame eterno tra gli aderenti e la Polacchia. Al ventitreesimo grog inventai anche un alfabeto segreto che ora non ricordo più, ed elaborai una variante del “patto polenta” in cui si faceva un uso improprio delle anguille, che qui è vietato esporre per le rigide norme a salvaguardia dei gatti e degli uccelli.

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